::vietato obbedire/concetto vecchio

Sinceramente, la mia ignoranza mi aveva reso cieco riguardo l’incredibile nozione storica, secondo la quale la Berkeley italiana sessantottina fu la facoltà di Sociologia di Trento.

Il libro di Concetto Vecchio (accidenti a tutti i genitori alla ricerca degli abbinamenti battesimali strasimpatici!) arriva a colmare in toto questa mia mancanza.
L’esigenza di una Università di nuovo intendimento, svecchiata dalla preparazione agli oramai atavici ruoli in campo lavorativo e sociale, fu la vera spinta che tirò giù tutto il domino popolare. Non è un caso che lì vennero in contatto, in ruoli cosi differenti, Alberoni e Rostagno, Kessler e Boato, Sofri e Capanna, Mara Cagol e Renato Curcio, Toni Capuozzo e Paolo Sorbi, Gigi Chiais e Chiara Saraceni. E tanti tanti altri.
Bene o male, i fatti li sappiamo o li estrapoliamo: la spinta iniziale, l’estensione spaziale della contestazione e poi nelle svariate aree tematiche, lo zenith e la discesa degenerativa della seconda ondata, le differenti scelte dei protagonisti incontro al loro destino. Chi ne vuole sapere, se lo legga.

Concetto Vecchio non scrive granché bene, tra gli errorini del tipo “il verbo non corrisponde al soggetto”, l’approccio un po’ dispersivo, ed a volte i mantra cronistorici frase-punto-frase-punto. Però è molto bravo a fare due cose strategicamente fondamentali.
La prima: non manca niente. Non c’è un buco, non c’è uno spiraglio che possa generare dubbi o perplessità, specie nell’evoluzione delle singole personalità, in ambo le parti in conflitto. Nella difficile descrizione di un movimento così cangiante, Vecchio non fa una piega. Lucido.
La seconda: l’autore è consapevole dell’inutilità del giudizio definitivo. Dispensa fendenti e rose rosse con la neutralità di un arbitro, e quando parteggia per la sua generazione mal interpretata dalla popolazione locale, lo fa senza pugni chiusi e rabbia repressa. Parteggia, lui, per l’aspetto ludico e creativo, della cosa. D’altronde, il ’68 vien su come un brufolo, e se scoppia con dolore ma con soddisfazione è solo per la scarsa igiene precedente, o per una passata colite…per una piccola, continua, modulata ed ottusa spinta repressiva cattolicoide, che dal dopoguerra opponeva lavoro conservativo a qualsiasi variazione estera.

Senz’ombra di dubbio, la parte rivelatrice dell’intero scritto è forse quella più accessoria.
Come ebbi modo di osservare, uno dei frutti amari di quel lungo periodo fu l’assestamento lento del sapere necessario al conseguimento di un titolo. Prima che le cose arrivassero a riequilibrarsi sui nuovi valori, furono distribuiti i diplomi e le lauree più immeritati della storia nazionale. Se i fortunati fruitori del colpo gobbo al tempo avevano 19 e 24 anni, oggi dovrebbero avere…oh, sorpresa! Sono proprio loro! I supercinquantenni inetti che tappano i posti di lavoro oggigiorno! Quelli laureatisi tipo all’Università di Palo Alto, cooosmico!
L’autore descrive il mitologico episodio dei 960 esami elargiti in tre giorni (poi in parte contestati); ma anche l’unica laurea a dieci mani nella storia dell’università italiana, caso solitario, intorniato però dalla normale pratica di laurearsi in gruppo. Se questa è la punta dell’iceberg, e del solo iceberg avvistato nei primi anni, lascio quantificare a voi l’entità totale nel tempo, non solo di questa prassi, ma dell’intero andazzo.

5 thoughts on “::vietato obbedire/concetto vecchio

  1. ilsorriso:grazie, il tuo commento mi imbarazza, sapere di essere stato addirittura utile, pur limitando la propria analisi a spazi da blog (che son molto più stringati di quelli di una vera approdondita recensione), mi ha fatto proprio felicione oggi.

  2. onestametne spero che sia un nome d’arte. DI lui ho letto Ali di piombo sul 77, se interessa il genere, assolutamente valido

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